In un precedente articolo, pubblicato sempre sulle colonne di questa rivista, si è dato atto di quanto sia stato rilevante entrare nei ruoli di alcune amministrazioni regionali entro il 31 dicembre 2000. Tra l’altro la data cadeva di domenica (quindi, forse, almeno il giorno prima). Si discuteva del c.d. “Trattamento di Fine Servizio” denominato “integrativo”. Si è scritto e documentato, di come non si stia parlando del TFS erogato dall’INPS (ex INPDAP) ma elargito liberamente da alcune regioni italiane a favore dei propri dipendenti. L’istituto di cui si discute si traduce, nell’applicazione pratica che ora si andrà a descrivere, in una doppia liquidazione a favore di tutti i dipendenti coinvolti a prescindere dai loro meriti. A prescindere dalle ottime carriere ed anche a prescindere dalla cassa previdenziale alla quale facevano capo i lavoratori all’epoca del loro ingresso in regione. Si richiede solo che i beneficiari abbiano fatto ingresso nei ruoli entro il 31/12/2000. L’istituto nacque con nobili intenzioni. Le amministrazioni regionali, appena entrate a regime, avevano bisogno di uno strumento amministrativo che permettesse di rendere omogenei i trattamenti di “buonuscita” dei loro dipendenti. Questi provenivano da esperienze diverse, da amministrazioni distanti e da casse di previdenza che operavano con regole che avrebbero potuto portare ad un differente trattamento di fine servizio (la buonuscita, appunto). Quindi si prese a riferimento il calcolo più vantaggioso tra quelli in uso alla fine degli anni settanta (in alcuni casi dei primi anni 80) per poi applicarlo a tutti i lavoratori che andavano in pensione nel “nuovo” status di “dipendente regionali”.
Il calcolo prevedeva di quantificare l’ultimo “stipendio” annuo percepito, tagliarne il 20%, suddividere il risultato per 12.
In pratica:
– (ultimo stipendio*80%)/12= “quota annua”. – A seguire: “quota annua” x anni di servizio = TFS.
– A seguire: “quota annua” x anni di servizio = TFS.
Nelle casse previdenziali, l’’ultimo stipendio veniva diviso per “15” e non per “12”, quindi la “quota annua” era, ed è, necessariamente diversa tra casse e regioni. Ecco, questa differenza è il TFS “integrativo”. Ora, al di là della equità o meno dell’istituto, non presente in nessun Ente Locale, è chiaro che molto dipende dal contenuto che si da al termine “stipendio”. Non sono mancati, in passato, tentativi di ampliare questo concetto per incrementare la quota di TFS da erogare a favore del personale. La circolare INPDAP n. 51 del 28 novembre 2000 fugava ogni dubbio elencando tassativamente quali fossero gli elementi retributivi da valutare al fine di quantificare l’Indennità Premio di Servizio (IPS, uno dei nomignoli del TFS attuale). Ancora più espliciti richiami venivano messi in evidenza dalla Suprema Corte di cassazione: “…in tema di determinazione dell’indennità di buona uscita, il DPR 29 dicembre 1973 n. 1032 art. 38, introducendo un principio di tassatività delle voci computabili, esclude che possano essere computati elementi diversi da quelli in esso tassativamente indicati, comprensivi, sostanzialmente, dei trattamenti economici fondamentali, e non anche di quelli accessori, non potendo interpretarsi le locuzioni stipendio, paga o retribuzione, nel senso generico di retribuzione onnicomprensiva riferibile a tutto quanto ricevuto dal lavoratore in modo fisso o continuativo e con vincolo di corrispettività con la prestazione resa, attesa la specifica enumerazione degli assegni, computabili a tal fine, operata dal legislatore.” (Cass. Lavoro sent. 24978/2017). E nemmeno può immaginarsi che sia lasciata alla contrattazione l’elencazione degli elementi a base del calcolo (Cass. Lavoro sent. 24454/2017 ove si afferma che “la contrattazione collettiva non può interferire in ordine all’inclusione di ulteriori elementi retributivi nella base di computo dell’indennità di buonuscita”). Certo è che, nella materia che ci occupa, introdurre nel calcolo l’indennità di “produttività” (o di risultato) considerandola quale parte dello stipendio “fissa e continuativa” non sembrava possibile, e invece così è stato. Vediamo. La legislazione regionale non lesina fantasia e competenza, così, d’improvviso appare nelle varie norme regionali che disciplinano il TFS integrativo la formula che trasforma uno strumento perequativo in beneficio a pioggia. Secondo molte amministrazioni nel calcolo dell’ultima retribuzione va inserito ogni emolumento “fisso e continuativo, comunque denominato”. Frase apparentemente neutra e, invece, deflagrante! Gli uffici del personale iniziarono sin da subito ad introdurre nel calcolo dell’ultimo stipendio l’indennità di risultato, la quale, non presa in considerazione da alcuna cassa previdenziale per il calcolo della buonuscita rendeva, come rende, la differenza tra calcolo INPS e Regionale non una eventuale integrazione, ma una vera e propria “seconda liquidazione” a carico delle casse pubbliche. Pur essendo graniticamente convinti che l’indennità di produttività non sia da inserire nel calcolo, non condivide questa interpretazione il giudice del lavoro il quale, in una delle numerose cause sull’argomento, afferma che “appare privo di fondamento…che (gli opponenti) sostengano oggi che le retribuzioni di posizione e di risultato non debbano essere ricompresi tra gli emolumenti per il calcolo del TFS, giacché la normativa di riferimento stabilisce esattamente il contrario in quanto l’articolo (del regolamento regionale) prevede espressamente che la retribuzione annua lorda da assumere a calcolo del TFS deve intendersi compressiva dei compensi, indennità ed emolumenti fissi e continuativi comunque denominati” (Corte Appello Roma, Sezione Lavoro, n. 1343/2022). Infine, ma sarà oggetto di una ennesima puntata della serie, molte regioni hanno concesso, in corso del rapporto di lavoro, una “anticipazione” del TFS integrativo. In questo caso, sono numerose le decisioni del giudice del lavoro che reputa tali “anticipazioni” illegittime (Trib. Lavoro, Roma, sentenza n. 4132/2018). Ogni amministrazione, applicando un calcolo che attualizzi le cifre sborsate, dovrebbe almeno essere poste in compensazione con quelle richieste dai lavoratori. Questa problematica si aggiunge a quella, ugualmente rilevante, dell’atto con il quale istituti come il TFS integrativo siano entrati nei vari ordinamenti regionali (legge ovvero semplice deliberazione). Abbiamo già ipotizzato che la concessione di questo privilegio (ve ne sono molti nell’ordinamento vigente) potrebbe rientrare nei poteri datoriali ed abrogarlo significherebbe apportare risorse finanziarie a vantaggio del miglioramento dei servizi. Oggi completiamo l’opera con un corollario a quanto già scritto, ossia, l’idea che l’abrogazione dell’istituto possa costituire “risparmio di gestione” ai sensi dell’art. 16 del D.L. 98/2011 (convertito in legge 111/2011). In questo caso, una quota andrebbe a migliorare i servizi, ma l’altra andrebbe ad incrementare il Fondo per il salario accessorio, a vantaggio di tutti, per il merito della performance e non per quello, assai misero, di essere stati assunti prima del 31 dicembre di 23 anni or sono. Il 31 dicembre 2000 un quotidiano nazionale, ovviamente per ragioni diverse dalla discussione attuale, intitolava un proprio articolo “siamo incoscienti e siamo troppi”. Ecco, si poteva intitolare questo articolo in questo modo, ma preferiamo in questo modo chiuderlo.
Articolo di Maurizio Ferri e Damiano Colaiacomo