Sarà noto a molti che i dipendenti regionali assunti prima del 31 dicembre 2000 non otterranno, a fine carriera, il “TFR” (a meno che non l’abbiamo chiesto esplicitamente), ma il più conveniente “TFS”. La differenza tra le due tipologie di trattamento è ben chiara alla Suprema Corte di Cassazione la quale pacificamente afferma che il TFS “conduce comunque ad un trattamento molto più favorevole rispetto a quello relativo al TFR spettante ai i dipendenti privati, giacché i destinatari del D.P.R. N.1032 del1973, art. 38 citato, hanno il vantaggio di moltiplicare “l’ultimo stipendio” per il numero degli anni di servizio prestati, in luogo del sistema del TFR, che si compone della somma di accantonamenti annuali, che riproducono, non già i più alti compensi percepiti al termine della carriera, ma solo la quota di quelli ricevuti anno per anno.” (Cass. Lavoro sent. 24454/2017). Quindi, tra il Trattamento di Fine Servizio (TFS) e il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) vi è differenza sostanziale. Che piaccia o no, la legge ordinaria tanto dispone e deve essere rispettata. Ma vi è una ulteriore “TFS”, una ulteriore “buonuscita” riservata a molti dipendenti delle regioni italiane. Si tratta di un TFS “aggiuntivo” ovvero, come si legge in alcune pronunce, “integrativo”. Nato con le migliori intenzioni, ossia omogeneizzare i rapporti regolati da più casse di previdenza, nel tempo ha cambiato finalità e struttura, ma non la denominazione originaria. Si tratta di un istituto che, attraverso particolari calcoli, porta nelle tasche di ogni Travet regionale una seconda “liquidazione”. Si badi, in questo secondo caso non si chiede al lavoratore di partecipare ad accantonamenti annuali per poter godere, alla fine della carriera di un gruzzoletto da spendere per i propri bisogni, non si tratta, in altri termini della c.d. “retribuzione differita”. Trattasi di un “premio di fine servizio” (uno dei tanti nomignoli nei quali negli anni si è celato l’istituto) che, tuttavia, proprio “premio” non potrebbe definirsi visto che non è corrisposto solo per coloro che hanno ottenuto una media valutativa di alto livello in carriera, ovvero non hanno mai subito una sanzione disciplinare, più semplicemente sono stati alle dipendenze di una pubblica amministrazione regionale.

Il meccanismo è chiaro anche ai giudici contabili. Leggiamo: “il regime del TFS riguarda anche i dipendenti pubblici del comparto Stato oltre che del comparto Regioni ed enti locali, assunti come detto prima del1.1.2001. Sussiste tuttavia una differenza “quantitativa” nel trattamento del TFS, che spiega la ratio della previsione integrativa presente nell’ordinamento regionale del Lazio. Nel comparto statale, infatti, il TFS è più elevato rispetto al comparto Regioni – enti locali, perché la normativa di riferimento prevede un differente criterio per la sua determinazione: nel comparto statale, infatti, il TFS è calcolato tenendo conto di 1/12 dell’80% della retribuzione lorda del dipendente; nel comparto Enti locali – Regioni, invece, la normativa prevede un calcolo basato su 1/15 dell’80% della retribuzione lorda del dipendente. Pertanto, per tutti i dipendenti regionali in regime di TFS, anche del Lazio, all’atto del collocamento in quiescenza, l’INPS corrisponde loro un assegno calcolato su 1/15 della loro retribuzione” (Rendiconto Generale della Regione Lazio, esercizio fin. 2019, Relazione di accompagnamento, p. 346). Il TFS aggiuntivo, erogato per anni da un numero molto elevato di amministrazioni regionali è stato attenzionato dalla Corte dei Conti sez. Emilia Romagna nel 2019. La Corte emiliana ha sollevato questione di legittimità costituzionale del TFS “aggiuntivo” in riferimento agli artt. 3, 36, 81, 97, 117, commi secondo, lettere l) e o) e terzo, e 119 della Costituzione. La Corte costituzionale si è pronunciata con sentenza n. 244 del 2020. Tipica pronuncia che, ovviamente, deve essere rispettata ma che non può essere in nessun modo esente da critiche. Innanzitutto, la Consulta non rileva nessuna “disparità di trattamento” tra i dipendenti regionali, che sono destinatari del trattamento in questione rispetto ai dipendenti degli Enti Locali i quali, anche nell’ipotesi, non remota, che svolgano le medesime funzioni dei colleghi regionali, non la percepiranno mai. Leggiamo con quali termini la Consulta non rileva (ovvero non può rilevare) alcuna presunta “disparità” di trattamento: “nel caso di specie, il Collegio (Corte Conti Emilia Romagna) rimettente non ha espressamente evocato i parametri finanziari, né ha fornito alcun argomento che dimostri in che modo dalla pretesa violazione dei precetti di cui agli artt. 3 e 36 Cost. possa farsi derivare la lesione degli equilibri finanziari della Regione” (Corte Cost. n.244/2020). In pratica, la Consulta reputa che non possa essere il Giudice contabile a sollevare la presunta disparità di trattamento tra dipendenti regionali e degli altri Enti Locali e, aggiunge, di non capire quali possano essere i danni alle casse della Regione. Fortuna vuole che la Corte costituzionale si guardi bene da dichiarare, palesemente, la “parità di trattamento”, ma quanto si legge basta ed avanza a rendere evidente la “svista” da parte della Consulta.

Inoltre, sempre la Consulta, sembra complimentarsi con il legislatore regionale che, limitando “l’integrazione regionale al TFS ai soli dipendenti in servizio presso la Regione alla data di entrata in vigore della legge regionale (2015), mira(va) a escludere da simile prestazione il nuovo personale proveniente dai ruoli delle Province, in buona parte rientrante nel regime di trattamento di fine servizio” (Cort. Cost. n. 244/2020). Ricapitolando: vi sono due “TFS”. Uno regolato da normativa statale, ove il dipendente ne usufruisce in vece del TFR e per il quale, durante la vita lavorativa ha accantonato, da parte sua, quote di retribuzione. Viene erogato dall’INPS (ex sezione INPDAP). L’altro è un TFS “aggiuntivo” che viene riconosciuto a tutti i dipendenti di ruolo al 31/12/2000, per il quale il lavoratore non ha versato ovvero accantonato alcunché. Viene erogato dalla Regione. Infine, questo trattamento non solo non può essere riconosciuto ai dipendenti degli Enti Locali, ma è precluso anche a quelli che sono transitati dalle Province alle Regioni, anche nel caso in cui fossero stati assunti prima della fine del 2000. Ammesso, per un solo ed unico momento, che tale situazione non possa definirsi discriminatoria tra lavoratori pubblici, è chiaro, comunque il danno economico per l’Ente regionale. Altro capitolo, ancor più preoccupante della materia è il metodo di calcolo che le varie regioni utilizzano per quantificare lo “stipendio” dell’ultimo anno di lavoro che, come si è visto, è elemento fondamentale per calcolare questa seconda liquidazione gratuita da parte delle casse pubbliche. Ma per affrontare questo problema occorrerebbe un articolo a parte. In effetti è proprio la “creatività” sulla metodologia di calcolo che porta ad affermare che trattasi di una “secondo liquidazione gratuita” per tutti di lavoratori regionali. Per ora ci si può domandare se sia possibile che lo Stato (inteso nella accezione più ampia del termine) possa permettersi questa “regalia” in tempi di crisi (ed ovviamente, si deve necessariamente tacere la risposta). Per quanto qui rileva basti pensare che, anche nel caso si volesse diminuire ovvero abrogare il TFS “aggiuntivo” vi sono due opzioni interpretative a confronto: 1. Spetta al legislatore statale (Sent. n. 1680/2023 della Corte d’Appello di Roma, sez. Lavoro; ma Trib. Lavoro Roma n. 9928/2023 pubblicata 08/11/2023, ed ancor prima Trib. Lavoro Roma n. 4132 del 21 maggio 2018); 2. Spetta al legislatore regionale (Corte Costituzionale n. 244/2020). E se invece fosse, più semplicemente, potere del datore di lavoro pubblico? Se il vertice amministrativo potesse abrogare il TFS aggiuntivo in quanto lo reputi non sostenibile per le casse dell’Ente? Ovvero si decidesse di destinare i risparmi di questa spesa al miglioramento dei servizi al cittadino?

Articolo di Maurizio Ferri e Damiano Colaiacomo