Brevissime considerazioni sulla mancata violazione del c.c. divieto di gold plating da parte del Legislatore.
(A cura dell’Avv. Angelo Annibali, socio dello Studio)
A distanza di quasi 2 anni dall’ordinanza di rimessione del Tar Liguria e di qualche mese dalla pronuncia della Corte di Giustizia (sez. IX, ordinanza del 6/2/2020), anche la Corte Costituzionale avalla l’art. 192 del Codice dei Contratti.
Come si ricorderà, i giudici liguri, con l’ordinanza n. 886 del 15/11/2018, chiamati a pronunciarsi sul ricorso promosso da un operatore economico avverso un affidamento diretto disposto da un’amministrazione alla propria società in house, avevano sospeso il giudizio rimettendo alla Corte Costituzionale la questione di costituzionalità dell’art. 192, comma 2, del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, nella parte in cui prevede che le stazioni appaltanti dessero conto nella motivazione del provvedimento di affidamento in house “delle ragioni del mancato ricorso al mercato”.
Nello specifico il Tar, aveva ripercorso l’evoluzione normativa dell’istituto dell’in house providing (di matrice europea), dando atto che, oggi, detto istituto non configura affatto un’ipotesi eccezionale e derogatoria di gestione dei servizi pubblici rispetto all’ordinario espletamento di una procedura di evidenza pubblica, ma costituisce una delle ordinarie forme organizzative di conferimento della titolarità del servizio, la cui individuazione in concreto è rimessa alle amministrazioni, sulla base di un mero giudizio di opportunità e convenienza economica.
Giudizio che l’Ente esprime in un momento ex ante l’affidamento nella relazione ex art 34 del DL 179/2012 che– diversamente dall’art. 192 comma 2 del D. Lgs. n. 50/2016 – non contiene alcun riferimento alle ragioni del mancato ricorso prioritario al mercato, che sono ultronee rispetto all’istituto dell’in house.
Partendo da tale presupposto, il Collegio, all’epoca, aveva ritenuto che la disposizione di cui all’art. 192 comma 2 del D.Lgs. n. 50/2016, nell’imporre un onere motivazionale supplementare relativamente alle “ragioni del mancato ricorso al mercato” per poter procedere con l’affidamento in house, avesse palesemente ecceduto rispetto ai principi ed ai criteri direttivi contenuti nella legge di delega 28.1.2016, n. 11 (recante deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014), in violazione dell’art. 76 della Costituzione.
In particolare, secondo il Tar la disposizione dell’art 192 andava a violare il c.d. divieto di gold plating (quale criterio direttivo di cui all’art 1 comma 1 lettera a) della Legge delega n. 11/2016), in quanto introduceva un onere amministrativo di motivazione più gravoso rispetto a quello strettamente necessario per l’attuazione della direttiva 2014/24/UE, che consentiva (e consente) senz’altro gli affidamenti in house ove ricorrano i presupposti di legge.
Di ieri la pronuncia della Consulta, la quale (per quanto interessa la presente nota) dopo aver ricordato l’origine del c.d. divieto di gold plating, ha statuito che la ratio di tale divieto “assurto a criterio direttivo nella legge delega n. 11 del 2016, è quella di impedire l’introduzione, in via legislativa, di oneri amministrativi e tecnici, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa comunitaria, che riducano la concorrenza in danno delle imprese e dei cittadini, mentre è evidente che la norma censurata si rivolge all’amministrazione e segue una direttrice proconcorrenziale, in quanto è volta ad allargare il ricorso al mercato.”
Nessuna violazione, quindi, nel caso di specie criterio previsto dall’art. 1 comma 1, lettera a), della legge delega n. 11 del 2016 da parte del Legislatore nazionale con l’introduzione della disposizione di cui all’art. 192 comma 2 del Codice, laddove ha previsto, per gli affidamenti in house, una motivazione rafforzata.
A detta dei Giudici, infatti, tale obbligo motivazionale (sulle ragioni del mancato ricorso al mercato) imposto dalla suindicata norma, risponde agli interessi costituzionalmente tutelati della trasparenza amministrativa e della tutela della concorrenza.
In conclusione la Corte (dopo aver esaminato anche la questione relativa all’asserita violazione del criterio direttivo di cui all’art. 1, comma 1, lettera eee), della medesima legge delega, anch’essa oggetto di rimessione), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale – sollevata in riferimento all’art. 76 della Costituzione – dell’art. 192, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), nella parte in cui prevede che le stazioni appaltanti danno conto, nella motivazione del provvedimento di affidamento in house, delle ragioni del mancato ricorso al mercato.