IN EVIDENZA
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – sentenza 29 ottobre 2020 n. 6615 – Appalti – Sugli obblighi dichiarativi degli illeciti professionali dei partecipanti ad una gara e sull’impossibilità per la stazione appaltante di modificare la durata del contratto a causa di ritardi nel corso della procedura di gara – Con la sentenza in rassegna, i Giudici di Palazzo Spada hanno riformato la decisione con cui il TAR Abruzzo aveva respinto il ricorso proposto dalla seconda classificata relativo ad una gara per l’affidamento del servizio di refezione scolastica nelle scuole materne, elementari e medie nel territorio del Comune dell’Aquila.
La sentenza è di particolare interesse poiché il Consiglio di Stato ha accolto le censure dell’appellante, riconoscendo come non vi sia alcun obbligo di dichiarare una penale contrattuale comminata in un precedente appalto il cui valore è irrisorio. Nel caso in esame l’importo della penale era di appena € 500, pari allo 0,002% del valore dell’appalto.
Del pari i Giudici di Palazzo Spada hanno anche affermato come sia dovere del concorrente quello di informare la stazione appaltante dell’esistenza di un decreto di rinvio a giudizio disposto nei confronti di uno dei suoi consiglieri di amministrazione. Infatti, tale provvedimento costituisce una vicenda professionale suscettibile di essere qualificata come “grave illecito professionale” e, quindi, elemento in grado di compromettere l’affidabilità e l’integrità dell’operatore economico.
Da ultimo la sentenza si esprime anche sulla corretta durata di un contratto di appalto, laddove gli atti di gara la ancorino espressamente a delle precise annualità (nel caso in esame gli anni scolastici). Secondo il Consiglio di Stato, indipendentemente dall’effettivo avvio del contratto la sua durata non può esorbitare gli anni prescritti dalla lex specialis. Quindi, anche se la procedura di gara si prolunga nel tempo, all’aggiudicatario spetterà il diritto di eseguire il contratto entro i limiti indicati negli atti di gara.
(Giudizio seguito dallo Studio AOR Avvocati per l’appellante).
TAR LAZIO – ROMA, SEZ. III TER – sentenza 26 ottobre 2020 n. 10924 – Energy – Sulla decadenza dalle tariffe incentivanti – Con la sentenza in commento, il TAR Lazio ha ricordato il consolidato insegnamento giurisprudenziale secondo cui la comunicazione di fine lavori, da inviare entro il termine del 31 dicembre 2010, costituisce condizione sine qua non di accesso agli incentivi del “Secondo Conto Energia”, così che la mancata dimostrazione dell’assolvimento di tale onere determina la decadenza dal predetto incentivo in ossequio al principio di autoresponsabilità.
(Giudizio seguito dallo Studio AOR Avvocati).
APPALTI PUBBLICI
CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA – sentenza 28 ottobre 2020, C.-521/18 – Appalti – Sull’applicabilità della normativa dei settori speciali alle attività di portierato e reception delle sedi dei prestatori di servizi di postali – Con la decisione in commento i giudici dell’Unione Europea si sono pronunciati in favore dell’applicazione della normativa sui settori speciali ad attività consistenti nella prestazione di servizi di portierato, reception e presidio varchi delle sedi dei prestatori di servizi postali.
Come è noto, i servizi postali soggiacciono alle norme del Codice dei Contratti e dunque devono essere aggiudicati mediante procedure ad evidenza pubblica. Da anni tuttavia ci si domanda se attività accessorie ai servizi postali (come quelle di portierato e reception) soggiacciano alla medesima normativa. Secondo i giudici europei, per poter rispondere al quesito occorre verificare se si tratta di servizi effettivamente necessari all’esercizio dell’attività postale.
La conclusione a cui giunge la sentenza in rassegna è che, non potendo ipotizzarsi che dei servizi postali possano essere forniti in maniera adeguata in assenza di servizi di portierato, reception e presidio varchi degli uffici del prestatore interessato, è doveroso che per affidare questi ultimi si applichi la medesima disciplina prevista per l’affidamento dei servizi postali.
CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA – sentenza 16 ottobre 2020 n. 22 – Appalti – Sulla nullità delle clausole del bando e sulla nullità della subordinazione dell’avvalimento dell’attestazione SOA alla produzione dell’attestazione SOA della impresa ausiliata – L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha chiarito che clausola del disciplinare di gara che subordina l’avvalimento dell’attestazione SOA alla produzione, in sede di gara, dell’attestazione SOA anche della stessa impresa ausiliata, si pone in contrasto con gli artt. 84 e 89, comma 1, Codice Appalti, e deve pertanto ritenersi nulla ai sensi dell’art. 83, co. 8, dello stesso codice.
Trattasi, per la precisione, di una ipotesi di “nullità parziale” limitata alla sola clausola (da considerarsi non apposta), che non si estende all’intero provvedimento. Ne consegue che al cospetto della nullità della clausola escludente contra legem del bando di gara non sussiste l’onere per l’impresa di proporre alcun ricorso perché tale clausola non è produttiva di effetto alcuno.
In capo all’operatore persiste, dunque, il solo obbligo di impugnare nei termini ordinari gli atti successivi che facciano applicazione (anche) della clausola nulla.
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III – sentenza 26 ottobre 2020 n. 6530 – Appalti – Sull’obbligo di comunicazione del grave illecito professionale sopravvenuto in corso di gara e successivamente alla verifica dei requisiti – Hanno rammentato i giudici di Palazzo Spada che costituisce ius receptum in giurisprudenza il principio – declinato in diretta coerenza con l’obbligo di mantenere i requisiti per tutta la durata del procedimento e successivamente alla sua conclusione – secondo cui sussiste, in capo ai partecipanti alle procedure d’appalto della Pubblica amministrazione, l’obbligo di comunicare a quest’ultima, nel corso della gara, tutte le vicende, anche sopravvenute, attinenti allo svolgimento della propria attività professionale, al fine di consentire alla stazione appaltante di valutare l’eventuale incidenza di tali precedenti sulla reale affidabilità, morale e professionale, dei concorrenti.
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III – sentenza 23 ottobre 2020 n. 6433 – Appalti – Sulla provenienza “esterna” del Presidente della Commissione rispetto all’organico del soggetto aggregatore – I giudici del Consiglio di Stato sono stati chiamati a pronunciarsi su una controversia inerente la legittimità della composizione della commissione giudicatrice della gara, con particolare riferimento alla nomina di una Presidente “esterno” (rispetto all’organico del soggetto aggregatore InnovaPuglia s.p.a.).
In questo caso, il Regolamento per la nomina della Commissione della stazione appaltante prevedeva che il Presidente potesse essere solamente “interno” all’Amministrazione. Da qui la proposizione del ricorso, con cui si è contestata la nomina di un soggetto “esterno”. Orbene, il Collegio, dato atto che nel nuovo Codice Appalti non è più presente la previsione contenuta nell’art. 84 del “vecchio” Codice (decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163”), ha ritenuto che nel nuovo assetto normativo è ben possibile la nomina di un soggetto “esterno” e ciò anche se detta scelta contraddice il Regolamento con cui si è autoregolamentata l’Amministrazione.
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – sentenza 19 ottobre 2020 n. 6305 – Appalti – Sui gravi illeciti professionali del subappaltatore – Il Consiglio di Stato è tornato ad interrogarsi se, in carenza di altri rimedi, la sanzione espulsiva sia legittima laddove la condotta contestata a termini dell’art. 80, co. 5 del Codice Appalti sia imputabile non all’operatore economico concorrente, bensì a uno dei subappaltatori della terna da questo indicata.
In particolare, conformemente alla decisione della Corte di Giustizia 30 gennaio 2020 C.- 395/18, il Consiglio di Stato ha ricordato che non è consentita l’esclusione automatica del concorrente che abbia indicato un subappaltatore nei confronti del quale siano emerse in corso di gara cause di esclusione, dovendo la stazione appaltante effettuare una specifica valutazione di proporzionalità della misura espulsiva rispetto alla fattispecie concreta.
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – sentenza 19 ottobre 2020 n. 6308 – Appalti – Sul principio di separazione delle offerte e sull’impossibilità di inserire elementi economici nell’offerta tecnica – Nel caso in commento una società era stata esclusa per aver inserito nel computo metrico non estimativo alcune voci di prezzo, corrispondenti a circa il 20% della somma delle migliorie offerte. In sede di appello il Consiglio di Stato ha confermato la pronuncia del primo giudice, ribadendo che il divieto di commistione tra offerta economica ed offerta tecnica costituisce espressione del principio di segretezza dell’offerta economica ed è posto a garanzia dell’attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, predicati dall’art. 97 Cost.. Nella specie, ha ricordato il Consiglio di Stato che la conoscenza di elementi economici dell’offerta da parte della Commissione aggiudicatrice può essere di per sé potenzialmente idonea a determinare un condizionamento, anche in astratto, da parte dell’organo deputato alla valutazione dell’offerta, alterandone la serenità ed imparzialità valutativa; di conseguenza nessun elemento economico deve essere reso noto alla Commissione prima che questa abbia reso le proprie valutazioni sull’offerta tecnica.
TAR ABRUZZO – L’AQUILA, SEZ. I – sentenza 23 ottobre 2020 n. 377 – Appalti – Sulla discrezionalità della stazione appaltante in ordine al periodo di efficacia della cauzione provvisoria – Secondo i Giudici abruzzesi, l’art. 93, co. 5 consente alla stazione appaltante di godere di ampia discrezionalità nel decidere se prolungare o ridurre il periodo di efficacia della garanzia provvisoria. Sulla base di tale argomentazione, il giudice amministrativo ha respinto la tesi con cui il concorrente lamentava il carattere sproporzionato delle norme di gara relative alla durata della cauzione, atteso che, nel caso in esame, la decisione di stabilire la durata della cauzione provvisoria in 365 giorni appariva coerente con il criterio di cui al predetto art. 93 del Codice Appalti.
Tale norma, infatti, fa riferimento alla “durata presumibile del procedimento”, ossia un elemento che può essere condizionato sia dalla natura dei lavori da affidare (nella specie lavori di restauro su un immobile di interesse storico artistico), sia dal criterio di aggiudicazione, sia dall’ipotetica apertura di sub-procedimenti accessori alla procedura principale.
TAR CAMPANIA – NAPOLI, SEZ. II – sentenza 22 ottobre 2020 n. 4699 – Appalti – Sulla valutazione di affidabilità contrattuale e professionale dell’operatore economico alla luce di un grave errore professionale – La valutazione relativa all’affidabilità dell’operatore economico alla luce di un grave errore professionale è espressione di ampia discrezionalità poiché effettuata sulla base di considerazioni di opportunità. La stazione appaltante è perciò tenuta a motivare al riguardo compiendo un’autonoma valutazione delle fonti di prova e delle ragioni per cui sono da considerare pertinenti e rilevanti in ordine ad un giudizio di integrità morale ed affidabilità del concorrente.
TAR MOLISE – CAMPOBASSO, SEZ. I – ordinanza 17 ottobre 2020 n. 278 – Appalti – Sull’assenza dei limiti al subappalto nella materia dei beni culturali – Nella fattispecie in rassegna la ricorrente ha lamentato l’incostituzionalità dell’articolo 105 del Codice Appalti – ove interpretato nel senso che lo stesso consenta il subappalto delle lavorazioni della categoria SOA OG 2 – per disparità di trattamento rispetto alla disciplina prevista dall’articolo 146 del Codice stesso che invece non consente il ricorso all’istituto dell’avvalimento per le categorie in questione. Persuaso dalla censura della ricorrente, il TAR Molise ha sollevato questione di costituzionalità, rilevando che non appare giustificata la contestata diversità di disciplina e dando conto di una serie di ragioni che inducono a ritenere irragionevole la mancata previsione di limiti al ricorso al subappalto nella specifica materia dei beni culturali, a fronte di un espresso divieto di avvalimento nel medesimo settore. In buona sostanza, vi sarebbe un palese discrimine tra il divieto di avvalimento da un lato e la possibilità di ricorrere al subappalto dall’altro.
TAR CALABRIA – CATANZARO, SEZ. II – sentenza 16 ottobre 2020 n. 1636 – Appalti – Sull’esclusione dell’offerta in caso di numero di pagine superiore al limite previsto dalla lex specialis – L’esclusione dell’offerta o l’oscuramento del numero di pagine superiore al limite fissato dalla legge di gara è possibile solo nel caso di espressa previsione. Secondo il TAR Calabria, l’omessa previsione di una espressa comminatoria di esclusione derivante dalla mancata osservanza del limite dimensionale di confezione dell’offerta tecnica non può, quindi, né determinarne la mancata valutazione, né tantomeno comportare l’estromissione del concorrente che a quel limite non si sia attenuto.
Di converso, vanno riconosciuti effetti escludenti ad una prescrizione di gara che stabilisce il numero massimo di pagine entro le quali contenere l’offerta tecnica, presidiando tale disposizione con la espressa comminatoria dell’esclusione in caso di sua violazione.
TAR CAMPANIA – NAPOLI, SEZ. VIII – sentenza 15 ottobre 2020 n. 4528 – Appalti – Sulla sussistenza della giurisdizione del G.A. per la controversia concernente il provvedimento della stazione appaltante di revoca dell’aggiudicazione definitiva iniziata in via d’urgenza – Secondo i Giudici campani sussiste la giurisdizione del G.A. nelle ipotesi in cui – intervenuta l’aggiudicazione definitiva ed iniziata in via d’urgenza l’esecuzione del servizio oggetto di gara – il Comune proceda al riesame della documentazione di gara e revochi l’aggiudicazione definitiva, opinando che sussista una causa di esclusione dalla procedura di gara.
In questi casi l’azione amministrativa, per come esercitata, non si traduce nella contestazione di inadempimenti nell’esecuzione del servizio consegnato in via d’urgenza, ma si connota in termini di esercizio autoritativo di autotutela sulla precedente fase di affidamento, rientrante – come tale – nella giurisdizione del G.A.
TAR LAZIO – ROMA, SEZ. I-ter – sentenza 15 ottobre 2020 n. 10498 – Appalti – Sulla verifica dell’anomalia e sull’obbligo del contraddittorio procedimentale – Secondo i giudici romani, la stazione appaltante non può escludere l’offerta anormalmente bassa se prima non attiva un contraddittorio procedimentale scritto con l’offerente.
La disposizione dell’art. 97 co. 5 del Codice Appalti non lascia margine a dubbi interpretativi: la regola dell’esclusione non automatica delle offerte sospette, con obbligo di verifica mediante contraddittorio successivo, è coerente con la logica del procedimento di anomalia, che mira ad accertare se l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile o meno. Non a caso il nostro ordinamento esclude una tipizzazione normativa degli elementi di possibile giustificazione, i quali vengono prodotti dall’operatore economico a seconda delle richieste e delle esigenze dell’amministrazione aggiudicatrice.
SERVIZI INTERESSE ECONOMICO GENERALE
CORTE COSTITUZIONALE – sentenza 30 ottobre 2020 n. 227 – Servizi di interesse economico generale – Sull’inapplicabilità degli istituti del comando e del distacco al personale delle società partecipate – Con la pronuncia in esame i Giudici della Consulta, chiamati a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di alcune disposizioni della Legge Regione Molise n. 4 del 2019, che vanno a disciplinare una forma di mobilità del personale delle società partecipate, hanno ricordato che la giurisprudenza costituzionale ha ricondotto le disposizioni inerenti all’attività di società partecipate dalle Regioni e dagli enti locali alla materia dell’“ordinamento civile”, in quanto volte a definire il regime giuridico di soggetti di diritto privato, nonché a quella della “tutela della concorrenza” in considerazione dello scopo di talune disposizioni di “evitare che soggetti dotati di privilegi operino in mercati concorrenziali”.
Al contempo, la Corte Costituzionale ha ribadito anche che il legislatore statale, nel disciplinare le società a partecipazione pubblica ed il rapporto di lavoro dei dipendenti, all’art. 19 del d.lgs. n. 175 del 2016, non ha previsto la possibilità del comando presso le amministrazioni. Ciò, in ragione del fatto che se è pur vero che già con l’art. 18 del d.l.25 giugno 2008, n. 112 e poi con il citato art. 19 del d.lgs. n. 175 del 2016, sono stati introdotti criteri di selezione ai fini delle assunzioni del personale in questione, è anche vero che non si è mutata la natura strettamente privatistica del rapporto, né si è imposta una procedura propriamente concorsuale.
Per l’effetto, secondo la Corte, fra il personale delle società partecipate e quello dipendente delle pubbliche amministrazioni rimane una barriera tuttora insuperabile, che trova la sua giustificazione anzitutto sul piano delle scelte discrezionali compiute dal legislatore statale nell’esercizio della competenza esclusiva in materia di ordinamento civile, ma anche nel principio di buon andamento della p.a. previsto dall’art. 97 Cost., ed in quelli in materia di coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 117, c. 3, Cost.
Conseguentemente, l’estensione della possibilità di comando – e, a maggior ragione, del distacco al personale della società partecipate – inficerebbe il sistema organizzativo e finanziario costruito dal legislatore statale, permettendo di fatto una incontrollata espansione delle assunzioni, con il duplice effetto negativo di scaricare oneri ingiustificati sulle società pubbliche, indotte ad assumere personale non necessario, e di alterare il delicato equilibrio che dovrebbe presiedere al rapporto fra organici e funzioni.
In ragione di quanto sopra esposto, conclude la Corte, le disposizioni della L. Reg. Molise n. 4 del 2019, che vanno a disciplinare una forma di mobilità del personale delle società partecipate non consentite dal d.lgs. n. 175 del 2016, sono da ritenersi costituzionalmente illegittime per violazione gli artt. 97 e 117, c. 2, lett. l), e 3 Cost.
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – sentenza 26 ottobre 2020 n. 6460 – Servizi di interesse economico generale – Affidamento in house – Sulla legittimità dell’affidamento diretto del servizio di igiene urbana disposto dal comune a favore della società in house del medesimo – Il Consiglio di Stato ha ricordato che il ricorso all’affidamento in house è in posizione subalterna all’affidamento del servizio mediante gara pubblica, e che detta tipologia di affidamento è possibile solo a condizione che l’Amministrazione assolva ad un onere di motivazione rafforzato ai sensi del combinato disposto degli artt. 192, comma 2, D.Lgs. n. 50 del 2016 e dall’art. 34, comma 20, D.L. n. 179 del 2012.
Tale onere di motivazione consiste nell’esporre le ragioni di preferenza per l’affidamento in house rispetto al ricorso all’evidenza pubblica in punto di convenienza economica, di efficienza e qualità del servizio, così esplicitando le ragioni dell’esclusione del ricorso al mercato, e, di seguito, i benefici per la collettività.
CORTE DEI CONTI – Sez. Regionale per il Controllo Veneto – deliberazione 19 ottobre 2020 n. 130 – Servizi di interesse economico generale – Fondazione di partecipazione – Sulla possibilità di costituire una fondazione con finalità estranee a quelle istituzionalmente spettanti all’ente e sul ripiano delle perdite – Rispetto alla richiesta di parere con cui un Sindaco ha domandato se fosse possibile costituire una fondazione con finalità non strettamente rientranti tra quelle istituzionalmente spettanti all’ente, i magistrati contabili del Veneto, con la deliberazione 130/2020, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 21 ottobre, hanno chiarito che:
– la costituzione della fondazione di partecipazione è subordinata alle condizioni prescritte dall’art. 1, commi 561 e 562 della legge n. 147/2013, ovvero la fondazione di partecipazione deve essere dotata di personalità giuridica, deve soddisfare esigenze generali aventi finalità non lucrative e deve essere finanziata in modo maggioritario da organismi di diritto pubblico e/o l’organo di amministrazione o vigilanza deve essere designato in maggioranza da un ente pubblico. Inoltre l’ente pubblico fondatore deve adeguatamente dettagliare nel provvedimento di costituzione le ragioni giuridiche e fattuali a supporto di tale scelta e i criteri di conferimento del patrimonio della predetta fondazione;
– l’ente non può in nessun modo accollarsi l’onere di ripianare le perdite gestionali di una fondazione, in quanto spetta alla fondazione stessa farvi fronte con il proprio patrimonio;
– il ripiano delle perdite gestionali da parte dell’ente partecipante opera soltanto in caso di partecipazioni strettamente di tipo societario, rimanendo dunque esclusa la partecipazione in fondazioni ai sensi dell’art. 1, comma 4, lett. b) del d.lgs. 175/2016.
CORTE DEI CONTI – Sez. Regionale per il Controllo Sardegna – deliberazione 15 ottobre 2020 n. 90 – Servizi Interesse Economico Generale – Amministratori – Sugli incarichi di amministratore di una società partecipata a soggetti in quiescenza – Un Sindaco ha chiesto un parere in merito all’applicabilità del divieto di conferire incarichi a soggetti in quiescenza, stabilito dall’art. 5, comma 9 del d.l. 95/2012, in caso di conferimento della carica di presidente o componente del consiglio di amministrazione di una società partecipata dal Comune, interamente partecipata da p.a., qualora l’incarico sia stato conferito a soggetto che seppur in quiescenza svolge un’attività libero professionale.
Al riguardo, la Corte dei Conti ha anzitutto ricordato che la citata disposizione legislativa introduce limitazioni al conferimento di incarichi (retribuiti) di studio, di consulenza, dirigenziali, direttivi e di cariche in organi di governo ai soggetti collocati in quiescenza allo scopo di favorire il ricambio generazionale nella pubblica amministrazione e, più in generale, di conseguire risparmi di spesa.
Ciò posto, è stato chiarito che dette limitazioni trovano applicazione anche nel caso in cui gli incarichi riguardino società controllate da enti pubblici, non sussistendo alcuna ragione per escludere dall’ambito di operatività del divieto tale specifica fattispecie.
Infine, con riferimento all’ulteriore aspetto del parere, ossia la possibilità di conferire incarichi a un “soggetto che seppure in quiescenza svolga una libera professione con regolare iscrizione al relativo albo professionale”, i giudici contabili hanno affermato che il tenore letterario della norma induce a concludere che il divieto in parola trovi applicazione a tutti coloro i quali abbiano svolto un’attività lavorativa, tanto nel settore pubblico quanto in quello privato (quindi sia i lavoratori dipendenti privati che i lavoratori autonomi), qualora collocati in quiescenza.
ENTI LOCALI
CORTE COSTITUZIONALE – sentenza 23 ottobre 2020 n. 223 – Enti Locali – Sulla non pignorabilità delle somme di cui all’art. 159, co. 2 TUEL anche verso i creditori protetti – Con la sentenza in commento, il Giudice delle leggi ha dichiarato la non fondatezza, in riferimento all’art. 3 Cost., della questione di legittimità costituzionale dell’art. 159 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, nella parte in cui non consente il pignoramento delle somme di competenza degli enti locali da parte di chi vanta crediti riconducibili al pagamento degli stipendi, al pagamento delle rate dei mutui e all’esercizio di servizi indispensabili. L’asserita incostituzionalità era stata sollevata dal Tribunale di Napoli Nord, per il quale l’impossibilità di pignorare le predette tipologie di credito lederebbe l’art. 3 Cost., sotto i profili della ragionevolezza e dell’eguaglianza.
Ha replicato la Consulta che lo scopo dell’impignorabilità prevista dalla norma – destinata a operare allorquando il saldo attivo presso l’istituto tesoriere sia di ammontare inferiore o eguale all’entità delle somme quantificate con la delibera semestrale dell’ente locale – non sarebbe quello di tutelare i creditori «qualificati», quanto piuttosto quello di garantire la funzionalità dell’ente locale.
Essa, infatti, sarebbe diretta a evitare che l’aggressione (da qualsiasi creditore provenga) di una riserva essenziale di denaro possa giungere a impedire, fino in ipotesi a determinarne la paralisi, l’espletamento di determinate funzioni istituzionali ritenute dal legislatore essenziali alla vita stessa dell’ente.
In siffatto contesto, conclude la Corte, è evidente come l’aggressione individuale, ancorché basata su un credito qualificato potrebbe comunque condurre alla decurtazione anche significativa o, addirittura, all’azzeramento delle risorse finanziarie dell’ente stesso, così compromettendone la funzionalità.
TAR LAZIO – ROMA, SEZ. I – sentenza 23 ottobre 2020 n. 10818 – Enti locali – Accesso agli atti – Sull’accesso agli atti richiesto da un whistleblower di cui erano state archiviate le segnalazioni – Dopo aver ricordato che ai fini della sussistenza del presupposto legittimante per l’esercizio del diritto di accesso deve esistere un interesse giuridicamente rilevante del soggetto richiedente, oltre che un rapporto di strumentalità tra tale interesse e la documentazione di cui si chiede l’ostensione, i Giudici amministrativi hanno riconosciuto in capo al ricorrente, nella qualità di “whistleblower” ai sensi dell’art. 54 bis del d.lgs. 165/2001, la sussistenza di un interesse diretto al documento al quale è stato chiesto l’accesso, in considerazione del fatto che la delibera in questione aveva provveduto su alcune segnalazioni dallo stesso effettuate quando era ancora dipendente comunale.
In motivazione, il TAR ha altresì chiarito che non può ritenersi applicabile l’ipotesi ostativa prevista dal “Regolamento disciplinante i procedimenti relativi all’accesso civico, all’accesso civico generalizzato ai dati e ai documenti detenuti dall’ANAC e all’accesso ai documenti amministrativi ai sensi della L. n. 241/1990” del 24.10.2018, che esclude dall’accesso “le proposte degli uffici”, poiché tale disposizione fa espressamente salvo il caso in cui tali proposte costituiscano “motivazione per relationem dell’atto o provvedimento”.
Ebbene, la delibera di cui era stata chiesta l’ostensione conteneva, in motivazione, un espresso richiamo alla proposta di deliberazione, che però non era stata resa disponibile.
Trattandosi di atto richiamato per relationem nella motivazione del provvedimento, lo stesso doveva quindi ritenersi ostensibile.
TAR LOMBARDIA – MILANO, SEZ. I – sentenza 16 ottobre 2020 n. 1947 – Enti Locali – Sulla individuazione del termine entro il quale proporre ricorso avverso regolamenti locali – Con la sentenza in commento il TAR Lombardia si è preoccupato di individuare il momento della decorrenza del termine per impugnare un regolamento comunale immediatamente lesivo nel caso in cui lo statuto dell’Ente disciplini in maniera differente l’entrata in vigore del regolamento rispetto alla previsione contenuta nell’art. 10 delle Preleggi, a mente del quale “le leggi e i regolamenti divengono obbligatori nel decimoquinto giorno successivo a quello della loro pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto”.
In particolare, il TAR ha precisato che in presenza di tale tipologia di regolamenti, il termine di impugnazione decorre dallo scadere del termine pubblicità legale della deliberazione che approva il regolamento (art. 124 TUEL), a nulla rilevando l’ulteriore pubblicazione prevista per i regolamenti, anche se disciplinata in modo differente dallo Statuto comunale.
Il TAR, infatti, conclude che nel caso in cui lo Statuto di un ente locale differenzi la fase di esecutività della delibera di approvazione del regolamento, che dipende dal compimento della pubblicità ex art. 124 Tuel, da quella della entrata in vigore del regolamento stesso, che viene fatta dipendere da una successiva pubblicazione, quest’ultima non è integrativa dell’efficacia della delibera di approvazione del regolamento stesso, ma è rivolta ad una mera pubblicità notizia (sostitutiva del regime della “vacatio legis” di cui all’art. 10 delle Preleggi), come tale non comportante il differimento dei termini di impugnazione.
PUBBLICO IMPIEGO
TAR SARDEGNA – CAGLIARI, SEZ. I – sentenza 22 ottobre 2020 n. 566 – Pubblico impiego – Sulla attribuzione di incarichi di studio e consulenza a ex dipendenti pubblici in quiescenza dietro corresponsione di un mero rimborso spese – Con la sentenza in rassegna, i Giudici amministrativi hanno condiviso una interpretazione dell’art. 5, comma 9, del D.L. n. 95/2012, che ammette l’affidamento di incarichi di studio e consulenza a ex dipendenti pubblici in quiescenza laddove l’incarico venga retribuito con un importo talmente esiguo da corrispondere ad un mero rimborso spese.
Secondo i giudici cagliaritani, infatti, la previsione finale del citato articolo (ai sensi della quale “Devono essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall’organo competente dell’amministrazione interessata”) deve essere interpretata in termini ragionevoli, così da garantirne la compatibilità con la Costituzione e con la normativa europea.
Proprio in tale ottica il Collegio ha ritenuto che la disciplina nazionale di riferimento, in particolare il citato art. 5, comma 9, del D.L. n. 95/2012, non vieti affatto l’attribuzione di incarichi di studio e consulenza a ex dipendenti pubblici in quiescenza qualora sia previsto un compenso di importo così esiguo da assumere – pur in mancanza di espressa denominazione in tal senso – natura sostanziale di rimborso spese.
EDILIZIA & URBANISTICA
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV – sentenza 19 ottobre 2020 n. 6300 – Edilizia&Urbanistica – Sull’accertamento postumo di compatibilità paesaggistica – Con la sentenza in esame, i Giudici di Palazzo Spada hanno ricordato che ai sensi dell’art. 167, comma 4, lett. a), del D.Lgs. n. 42/2004 l’accertamento postumo della compatibilità paesaggistica è consentito esclusivamente in relazione a quei lavori che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati. In presenza di incrementi di superficie o cubatura, anche di modesta entità, la norma impedisce tassativamente il rilascio della sanatoria paesaggistica, per cui la reiezione della relativa istanza assume carattere vincolato.
TAR LAZIO – ROMA, SEZ. II-BIS – sentenza 28 ottobre 2020 n. 11025 – Edilizia&Urbanistica – L’installazione di un impianto solare termico per la produzione di acqua calda rientra nelle opere di manutenzione straordinaria – Secondo il TAR Lazio è da ritenersi illegittimo il provvedimento con il quale un Comune ha ordinato la sospensione dei lavori di installazione e/o realizzazione di un impianto solare termico, per la produzione di acqua calda, che sia motivato con riferimento al fatto che, ai fini della esecuzione dei suddetti lavori, è necessaria la previa presentazione di un DIA.
Osservano, infatti, i giudici romani che l’installazione di impianti solari destinati alla produzione di acqua calda è considerata, ai sensi del combinato disposto artt. 123, comma 1, 3, comma 1b del D.P.R. n. 380 del 2001, estensione dell’impianto idrico-sanitario già in opera; per cui le relative opere possono essere eseguite senza alcun titolo abilitativo, ex art. 6, comma 1e-quater (all’epoca art.6, comma 2d) del D.P.R. n.380 del 2001.
TAR TOSCANA – FIRENZE, SEZ. III – sentenza 26 ottobre 2020 n. 1297 – Edilizia&Urbanistica – Sugli oneri di urbanizzazione nel caso di intervento consistente nella installazione di pannelli fotovoltaici sul tetto di un fabbricato industriale – I giudici amministrativi toscani hanno ritenuto illegittimo il provvedimento con il quale un ente comunale ha chiesto il pagamento degli oneri di urbanizzazione in relazione ad un intervento di installazione di pannelli fotovoltaici sul tetto di un fabbricato industriale.
A sostegno della decisione è stato invocato il disposto dell’art. 17, comma 3 lett. c), DPR 380/2001 oltre che dall’art. 8 D.M. 10.9.2010, dai quali emerge che il contributo di costruzione non è dovuto per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici.
TAR LAZIO – ROMA, SEZ. II – sentenza 16 ottobre 2020 n. 10553 – Edilizia&Urbanistica – Sulla compatibilità urbanistica ed ambientale degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti – Secondo i giudici romani, la compatibilità urbanistica ed ambientale dell’impianto costituisce presupposto imprescindibile per procedere al rilascio dell’autorizzazione definitiva di cui all’art. 208 del d.lgs. n. 152/2006, nel quale, infatti, si fa espresso riferimento all’esigenza di documentare la conformità del progetto dell’impianto alla normativa urbanistica e la compatibilità dello stesso con le esigenze ambientali e territoriali.
Pertanto, ove detta compatibilità manchi, il titolo autorizzatorio definitivo non può essere rilasciato.
Inoltre, l’apposizione di un vincolo ambientale comporta la necessità di acquisire, a sua volta, il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo in ordine alla compatibilità della permanenza definitiva dell’impianto, a prescindere dal modello procedimentale prescelto, essendo tale valutazione funzionale all’esigenza di vagliare l’attuale compatibilità dell’insediamento con lo speciale discendente regime di tutela.