IN EVIDENZA
TAR LAZIO, SEZ. I – sentenza 4 novembre 2020 n. 11374 – Pubblico impiego – Sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare avviato nei confronti degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria a seguito di una pronuncia penale di condanna – Con la sentenza in rassegna, i Giudici capitolini hanno sancito importanti principi al fine di regolare il rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare avviato, nei confronti degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria, a seguito di una sentenza penale di condanna emessa a carico dei predetti soggetti. Nel caso di specie, è stato, preliminarmente, rilevato che le disposizioni di attuazione al Codice di procedura penale (art. 16, 17 e 18) non contengono alcuna disposizione che indichi i termini che la Commissione di disciplina è tenuta a rispettare per l’avvio, lo svolgimento e la conclusione del procedimento disciplinare stesso. Tuttavia, ad avviso del Collegio, tale vuoto normativo è solo apparente. Ed invero, considerato che il procedimento disciplinare di cui si discorre ha natura amministrativa – in attuazione degli art. 24 e 97 Cost. –, le norme sopra richiamate devono ritenersi integrate con le garanzie previste dalla disciplina generale sul procedimento disciplinare per il pubblico impiego, di cui alla Legge 27 marzo 2001, n. 97 (“Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche”).
Sulla base di tali premesse, è stato quindi stabilito che il procedimento disciplinare:
– deve avere inizio – o in caso di intervenuta sospensione deve proseguire – entro il termine di 90 giorni decorrenti dalla comunicazione della sentenza all’Amministrazione/Ente competente per il procedimento disciplinare o dalla data di pubblicazione della sentenza definitiva di condanna;
deve concludersi entro 180 giorni decorrenti dal termine di inizio o di proseguimento del procedimento stesso.
(Giudizio seguito dallo Studio AOR Avvocati).
TAR LAZIO, SEZ. III ter – ordinanza 10 novembre 2020 n. 6853 –Energy – Sulla decadenza dagli incentivi – Con l’ordinanza in commento, i Giudici capitolini hanno rigettato l’istanza cautelare proposta dal ricorrente e volta ad ottenere la sospensione degli effetti del provvedimento impugnato con il quale, il GSE, ha disposto la decadenza del ricorrente medesimo dal diritto a percepire le tariffe incentivanti e l’obbligo di restituire gli incentivi già percepiti. In particolare, il Collegio, a seguito di un primo sommario esame del caso di specie, ha ritenuto sussistere la rilevanza delle violazioni contestate dal Gestore e tali da indurre lo stesso ad adottare il provvedimento di decadenza contestato in quanto:
– l’etichettatura dei moduli installati risulta essere costituita da materiale non duraturo e amovibile e, dunque, non corrispondente ai requisiti minimi stabiliti per l’ammissione agli incentivi;
– i moduli installati risultano difformi rispetto alla normativa di settore, con particolare riferimento alla certificazione dei siti di produzione, alla qualità dei materiali ed al processo di fabbricazione degli stessi.
(Giudizio seguito dallo Studio AOR Avvocati).
APPALTI PUBBLICI
CONSIGLIO DI STATO, Sez. V – sentenza 2 novembre 2020 n. 6761 – Appalti – Sulla funzione e sulla portata del c.d. progetto di assorbimento della clausola sociale – Con la sentenza in rassegna, i Giudici di Palazzo Spada hanno ricordato che l’obbligo di cui alla c.d. clausola sociale, ossia quello di mantenere i livelli occupazionali del precedente appalto, va contemperato con il principio della libertà d’impresa e con la facoltà in esso insita di consentire all’operatore economico di realizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva.
Pertanto, come già previsto dalle Linee Guida Anac n. 114 del 2009 e dal successivo parere fornito, sul punto, dal Consiglio di Stato, è opportuno che l’offerta sia corredata da un vero e proprio “piano di compatibilità” o “progetto di assorbimento” mediante il quale venga illustrato in che modo l’offerente, ove aggiudicatario, intenda rispettare l’obbligo di cui alla clausola sociale.
Allo stesso modo, è consentito alla Stazione Appaltante di valutare se inserire, tra i criteri di valutazione dell’offerta, quello relativo alla valutazione del suddetto piano di compatibilità, assegnando un punteggio più alto all’offerta che realizzi maggiormente i fini a cui tende la clausola sociale in questione.
Da ciò, conclude il Collegio, si ricava una chiara conferma di come la scelta sulle concrete modalità di attuazione della clausola sociale, incluso l’inquadramento da attribuire al lavoratore, sia rimessa al concorrente; il quale effettua la predetta scelta proprio attraverso il cd. “progetto di assorbimento” avente valore di “proposta contrattuale”.
Di conseguenza, è da escludersi che dalla clausola sociale possa derivare sic et simpliciter un obbligo in capo al concorrente d’inquadrare il lavoratore con lo stesso livello d’anzianità già posseduto.
CONSIGLIO DI STATO, Sez. V – sentenza 3 novembre 2020 n. 6787 – Appalti – Sui presupposti per acquisire la qualifica di Centrale di Committenza o di Soggetto Aggregatore – Con la sentenza in rassegna, i Giudici di Palazzo Spada hanno stabilito che per poter acquisire la qualifica di Centrale di Committenza o di Soggetto Aggregatore occorre che il soggetto interessato risulti iscritto, non solo all’Anagrafe Unica delle Stazioni Appaltanti, ma anche all’elenco dei Soggetti Aggregatori, inizialmente istituito presso l’AVCP, e attualmente tenuto dall’Anac.
Pertanto, i soggetti che intendono operare come Soggetti Aggregatori o Centrali di Committenza, diversi dalla Consip e dalle Centrali di Committenza istituite dalle singole Regioni, devono richiedere all’Anac di essere iscritti al predetto elenco.
CONSIGLIO DI STATO, Sez. V – sentenza 9 novembre 2020 n. 6857 – Appalti – Sul superamento del limite massimo di pagine previsto dal disciplinare per la redazione dell’offerta – Con la sentenza in esame, i Giudici di Palazzo Spada hanno stabilito che ove il superamento del limite massimo di pagine previsto dal disciplinare di gara per la redazione dei documenti componenti l’offerta sia previsto a pena di esclusione, tale circostanza è idonea a giustificare per ciò solo l’estromissione dalla gara dell’aggiudicatario che abbia violato il predetto limite.
Per contro, nel caso in cui gli atti di gara prevedano solamente che le pagine eccedenti non possano essere considerate dalla commissione “ai fini della valutazione dell’offerta”, il ricorrente che intende porre a fondamento della sua impugnazione la predetta eccedenza di pagine deve fornire prova, anche solo presuntiva, – e non limitarsi a mere congetture – di come il superamento del numero di pagine abbia determinato, da un lato, un indebito vantaggio per il concorrente aggiudicatario e, dall’altro, un danno per il ricorrente medesimo.
TAR LAZIO, Sez. III quater – sentenza 3 novembre 2020 n. 11304 – Appalti – Sulla compatibilità con il diritto comunitario del limite quantitativo (interno) al subappalto nella misura pari al 40% – Con la sentenza in rassegna, i Giudici capitolini hanno ritenuto compatibile con il diritto comunitario l’attuale limite interno al subappalto pari al 40% dell’importo complessivo del contratto, previsto dal c.d. Sblocca Cantieri.
In particolare, ad avviso del Collegio, un disciplinare di gara che fissa al 40% la quota massima dell’appalto subappaltatile non è in contrasto con le conclusioni cui è pervenuta la Corte di Giustizia dell’Ue nelle sentenze 27 novembre 2019, C 402/18 e 26 settembre 2019 C 63/18.
Le pronunce richiamate, infatti, pur avendo censurato il limite al subappalto previsto dal diritto interno nella soglia del 30% dei lavori, non hanno escluso la compatibilità con il diritto dell’Unione di limiti superiori.
In buona sostanza, dunque, i Giudici comunitari hanno considerato in contrasto con le direttive europee solo il previgente limite fissato al 30%, non escludendo invece che il legislatore nazionale possa individuare comunque, al fine di evitare ostacoli al controllo dei soggetti aggiudicatari, un limite superiore al subappalto, purché proporzionato rispetto a tale obiettivo.
Per tali ragioni, l’attuale limite pari al 40% non può ritenersi contrastante con il diritto comunitario.
TAR CALABRIA – REGGIO CALABRIA, SEZ. I – sentenza 10 novembre 2020 n. 1772 – Appalti – Sull’obbligo del sopralluogo ove previsto a pena di esclusione dalla legge di gara e sull’illegittimità della clausola che richiede una procura rilasciata da notaio in caso di sopralluogo effettuato da un soggetto non dipendente dell’impresa concorrente – Con la sentenza in esame, i Giudici Calabresi hanno stabilito che le disposizioni della legge di gara che impongono il sopralluogo a pena di esclusione devono ritenersi legittime, nonostante il Codice dei Contratti Pubblici non contenga una norma che espressamente prescriva il sopralluogo come obbligatorio.
Ciò in quanto la disposizione di gara che prevede tale obbligo ha una funzione sostanziale, e non meramente formale, nel senso di consentire ai concorrenti di formulare un’offerta consapevole e più aderente alle necessità dell’appalto.
Sotto altro aspetto, il Collegio, ha inoltre stabilito che deve ritenersi illegittima la clausola del bando di gara che, nel caso in cui il sopralluogo venga espletato da una persona non dipendente dell’impresa concorrente, prescriva, a pena di esclusione, l’obbligo di munirsi di una procura rilasciata dal notaio (formalità, invece, non prevista nel caso in cui il delegato sia dipendente, essendo in tal caso sufficiente una delega rilasciata per scrittura privata).
Una prescrizione di tal fatta, conclude il Collegio, è da ritenersi illegittima in quanto foriera di oneri formali eccessivamente sproporzionati sulle imprese partecipanti alla gara senza che da ciò ne derivi alcuna utilità all’Ente committente o, comunque, all’interesse pubblico in generale.
TAR LOMBARDIA – MILANO, SEZ. IV – sentenza 13 novembre 2020 n. 2170 – Appalti – Sul c.d. divieto di commistione tra l’offerta economica e tecnica – Con la sentenza in commento, i Giudici milanesi hanno dato atto dei due orientamenti giurisprudenziali, ad oggi, vigenti in tema di divieto di commistione tra l’offerta economica e quella tecnica.
Ad avviso di un primo filone giurisprudenziale, la conoscenza da parte della Commissione di gara, in sede di valutazione dell’offerta tecnica, di elementi economici deve essere ritenuta di per sé, e dunque in astratto, potenzialmente idonea a determinare un condizionamento della Commissione stessa, alterandone la serenità e l’imparzialità valutativa; di conseguenza nessun elemento economico deve essere reso noto alla Commissione di gara prima che questa abbia reso le proprie valutazioni sull’offerta tecnica.
L’opposto orientamento, invece, ritiene che l’applicazione del divieto di commistione deve essere effettuata in concreto e non in astratto.
In buona sostanza, secondo quest’altra parte della giurisprudenza, il predetto divieto può ritenersi violato solo ove gli elementi economici desumibili dall’offerta tecnica siano tali da consentire alla Commissione di ricostruire, in via anticipata, l’offerta economica nella sua interezza o, quanto meno, nei suoi aspetti economicamente significativi.
Nel caso di specie, il Collegio ha ritenuto di aderire al primo orientamento precisando che nei casi in cui la lex specialis contenga espressamente, pena l’esclusione, il divieto di inserire, nella busta contenente l’offerta tecnica riferimenti economici, la presenza in quest’ultima di elementi dell’offerta economica, deve per ciò solo ritenersi idonea a condizionare le valutazioni della Commissione; con la conseguenza che il concorrente che abbia violato tale divieto deve essere escluso dalla gara.
SERVIZI DI INTERESSE ECONOMICO GENERALE
CORTE DEI CONTI – Sez. Regionale di controllo per il Veneto -deliberazione 3 novembre 2020, n. 147 – Servizi di interesse economico generale – Sull’interpretazione delle norme di cui ai D.L. n. 18/2020 e n. 34/2020 in materia di copertura delle spese residue incomprimibili, maturate dai gestori dei servizi di trasporto scolastico, nel periodo in cui il servizio non è stato reso a causa del lockdown – Con la pronuncia in epigrafe, i Magistrati contabili hanno stabilito che i Gestori del Servizio di Trasporto Scolastico non hanno diritto ad alcun rimborso dei costi sostenuti nel periodo in cui il predetto servizio non è stato erogato a causa del lockdown conseguente dall’emergenza epidemiologica da Covid – 19.
Ciò in quanto, le disposizioni originariamente contenute nel D.L. 18/2020, che attribuivano al Gestore del servizio di trasporto scolastico il diritto a pretendere il pagamento dei corrispettivi per prestazioni non eseguite, non sono, di fatto, mai state operative in quanto, stante la loro natura di “Aiuto di Stato”, la loro efficacia era subordinata al rilascio di un’autorizzazione da parte della Commissione europea.
Detta autorizzazione, tuttavia, non risulta, allo stato degli atti, essere intervenuta.
Pertanto, la disciplina di finanziamento prevista dall’art. 48 del D.L. n.18/2020, così come modificata dall’art. 109 del D.L. n.34/2020 – che ha introdotto la possibilità per le Amministrazioni Pubbliche di riconoscere ai Gestori di Servizi Pubblici un contributo a copertura delle spese residue incomprimibili – è riservata esclusivamente ai servizi pubblici nella stessa espressamente richiamati, tra i quali non sono ricompresi – in difetto della predetta autorizzazione comunitaria – i servizi di trasporto scolastico.
PUBBLICO IMPIEGO
TAR LAZIO – ROMA, SEZ. I QUATER – sentenza 5 novembre 2020 n. 11437 – Pubblico impiego – Sui presupposti che legittimano di indicare con il solo voto numerico il giudizio valutativo delle prove scritte di un concorso pubblico – Con la sentenza in rassegna, i Giudici capitolini hanno stabilito che la valutazione delle prove scritte di un concorso pubblico, espressa con il semplice voto numerico, è da ritenersi legittima ove la Commissione giudicatrice abbia preventivamente determinato i criteri valutativi di massima e non risulti alcuna evidente contraddittorietà tra questi ultimi ed il voto assegnato al concorrente.
Al ricorrere di tali circostanze, infatti, i giudizi valutativi delle prove concorsuali espressi mediante l’attribuzione di un voto numerico devono ritenersi adeguati e sufficienti, senza che sia necessario ricorrere a proposizioni esplicative dei voti numerici attribuiti.
EDILIZIA & URBANISTICA
TAR LAZIO – ROMA, Sez. II quater – sentenza 10 novembre 2020 n. 11626 – Edilizia&Urbanistica – Sull’illegittimità dell’ordine di demolizione adottato senza motivazione e dopo 40 anni dalla realizzazione del manufatto realizzato in difetto del permesso di costruire – Con la sentenza in esame i Giudici capitolini hanno ritenuto illegittima l’ordinanza con il quale il Comune – senza una puntuale motivazione – ha ordinato di demolire un manufatto (nella specie, una palafitta di pertinenza ad un ristorante) costruito senza il preventivo rilascio del permesso di costruire, in ragione del fatto che:
a) l’ordinanza di rimozione è stata adottata a distanza di circa 40 anni dalla realizzazione dell’abuso edilizio;
b) nel tempo, il medesimo manufatto sia stato ritenuto dalla P.A. precario e compatibile sia con la normativa urbanistica del PRG, sia con il piano territoriale paesistico dell’area interessata.
In tal caso, infatti, tenuto conto delle caratteristiche dell’attività edilizia in concreto posta in essere, inidonea a sviluppare cubatura, assai risalente nel tempo, e del fatto che la stessa P.A. ha reiteratamente posto in essere un’attività provvedimentale in cui ha espressamente considerato compatibile l’intervento con la normativa urbanistica ed edilizia ad essa applicabile, il Comune avrebbe dovuto allegare, a sostegno dell’ordine di demolizione, una motivazione con la quale dare atto, spiegandone le ragioni, dei nuovi presupposti di fatto e/o di diritto idonei a giustificare un siffatto radicale cambio di orientamento.